28 Gennaio 2019
Durante il Consiglio dei Ministri riunitosi giovedì 17 gennaio a Palazzo Chigi in tarda serata, il governo ha approvato in via definitiva il “decretone†che dà il via libera alle due misure cardine del programma di M5S e Lega: Reddito di cittadinanza (RdC) e quota 100.
Il decreto-legge prevede l’introduzione, a partire dal prossimo aprile:
• del reddito e della pensione di cittadinanza per i soggetti e i nuclei familiari in condizioni di particolare disagio economico e sociale, attraverso meccanismi in grado di garantire un livello minimo di sussistenza nonché, nel caso del reddito di cittadinanza, la promozione delle condizioni che rendono effettivo il diritto al lavoro e alla formazione;
• di una ridefinizione dei requisiti minimi per l’accesso al pensionamento anticipato (c.d. quota 100) e di misure per incentivare l’assunzione di lavoratori giovani.
Per la piena operatività delle due misure bisogna attendere ancora qualche mese, poiché:
• per quanto concerne il reddito di cittadinanza, il decreto di attuazione sarà varato con ogni probabilità nel prossimo mese di febbraio, con richiesta da fare a marzo, e con successiva liquidazione solo nel mese di aprile;
• mentre per la quota 100, la prima liquidazione utile per i lavoratori privati – che abbiano maturato i requisiti pensionistici previsti dal decreto entro il 31 dicembre 2019 – sarà comunque il 1° aprile 2019. Decorrenza che si sposta al 1° agosto 2019 nel caso dei dipendenti pubblici.
Vediamo per sommi capi i punti principali del decreto-legge con particolare focus sul Reddito di Cittadinanza
Per poter accedere al reddito di cittadinanza, oltre al reddito risultante dal modello Isee che non deve superare i 9.360,00 €, sono previsti altri requisiti da soddisfare:
• essere cittadini italiani, europei o extracomunitari con regolare permesso di soggiorno di lungo periodo;
• essere residenti stabilmente in Italia da almeno 10 anni;
• percepire un reddito o una pensione inferiore alla soglia di povertà, cioè sotto i 780,00 euro mensili;
• avere un reddito familiare inferiore a 6 mila euro, per il singolo componente, o a 7.560,00 €, in caso di pensione di cittadinanza; l’importo è elevato sino a 9.360,00 € per chi paga l’affitto o il mutuo in base alla scala di equivalenza;
• esclusa l’eventuale casa di proprietà, il patrimonio immobile non potrà superare il valore massimo di 30mila €;
• avere un patrimonio mobiliare familiare (conti, carte prepagate, titoli, libretti) non superiore a 6mila €; che aumentano di 2mila € per ogni componente del nucleo familiare successivo al primo, fino ad un massimo di 10 mila €; e di 5mila € per ogni componente con disabilità;
• non avere autoveicoli con cilindrata superiore a 1.600 cc e motoveicoli di cilindrata superiore a 250 cc, immatricolati la prima volta nei due anni antecedenti, e navi o imbarcazioni da diporto.
Il decreto prevede un meccanismo rigido di condizionalità per poter accedere al RdC (le cd norme anti-divano). In particolare, è obbligatorio:
• iscriversi presso Centri per l’impiego per la ricerca attiva di una nuova occupazione;
• frequentare corsi di formazione o specializzazione professionale sempre volti al reinserimento nel mondo del lavoro;
• Aderire a progetti di attività socialmente utili.
• Non bisogna, inoltre, rifiutare oltre tre offerte di lavoro congrue altrimenti il rischio di perdere il beneficio.
Per cercare di favorire l’inserimento occupazionale dei percettori del RdC il decreto prevede un sistema incentivante per le aziende che provvedono a stipulare un contratto di lavoro con un beneficiario del RDC. Nel caso di assunzione a tempo pieno e indeterminato di beneficiari del RDC, è riconosciuto, al datore di lavoro e al lavoratore, l’esonero dal versamento dei contributi previdenziali e assistenziali (ad esclusione dei premi e contributi dovuti all’INAIL), nei limiti dell’importo mensile del RDC percepito al momento dell’assunzione, per un periodo pari alla differenza tra 18 mensilità di RDC e quanto già goduto dal beneficiario stesso. L’accesso alle agevolazioni sembra, ad una prima analisi, non privo di difficoltà operative con le quali si dovrà a breve confrontare l’INPS. Vediamo nel dettaglio cosa prevede il decreto in tema di incentivi per le aziende:
a) il datore di lavoro deve realizzare un incremento occupazionale netto del numero di dipendenti nel rispetto dei criteri fissati dall’art. 31, co. 1, lettera f), del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 150, riferiti esclusivamente ai lavoratori a tempo indeterminato;
b) devono essere rispettati gli ulteriori principi generali di cui all’art. 31 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 150 (art. 8, co. 3, D.L.);
c) devono essere rispettate le condizioni stabilite dall’art. 1, co. 1175, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (art. 8, co. 5, D.L.);
d) il beneficio spetta entro i limiti e secondo le disposizioni del Regolamento (UE) n. 1407, e n. 1408 del 18 dicembre 2013 relativo all’applicazione degli articoli 107 e 108 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea agli aiuti “de minimis†(art. 8, co. 6, D.L.);
e) infine, le nuove agevolazioni sono compatibili e aggiuntive rispetto a quelle stabilite dall’art. 1, co. 247, della legge 30 dicembre 2018, n. 145: se il datore ha esaurito gli esoneri contributivi in forza di tale legge, gli sgravi contributivi di cui al co. 1 e co. 2 dell’art. 8, sono fruiti sotto forma di credito di imposta per il datore.
Solo il tempo ci dirà se il nuovo modello di Welfare delineato dal legislatore riuscirà ad avere un impatto positivo sul nostro contesto sociale e a contrastare in modo efficace la povertà in cui versano circa 1 milione ed ottocentomila famiglie italiane.
Gran parte del successo sembra essere nelle mani dei vari soggetti pubblici che partecipano alla realizzazione dello strumento, Centro per l’Impiego in testa.
Saranno in grado da soli ad offrire alla numerosa platea di destinatari 3 offerte congrue di lavoro?
Il tempo ci darà le risposte che tutti si aspettano.
Alberto Bagnaro - Coordinatore Nazionale Sviluppo Politiche Attive Gesfor